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lunedì 11 luglio 2011

L'elasticità che serve per essere un buon capo (di F. Alberoni)

Inizia questa settimana con un monito che suona come musica per le mie orecchie. Francesco Alberoni sostiene che ci vuole gioco di squadra per fare impresa. Aggiungo un altro fattore in cui ho sempre creduto: il Potere.
Il Potere e il Team sono i 2 elementi che possono proiettare qualunque impresa (e mi riferisco anche a quella politica) a risultati eccellenti.


Colgo l´occasione per ringraziare tutti quelli del Team che hanno contribuito con il loro lavoro, il loro tempo, le loro idee, i loro consigli, la loro passione, per realizzare la 3a FESTA DELLA BIRRE ARTIGIANALI.


DIETRO LE QUINTE



BALLI DI GRUPPO



Grazie di cuore!
Luca



Chi guida un'impresa deve saper fare gioco di squadra

Elasticità, duttilità, parole che abitualmente non mettiamo in rapporto con l'impresa, eppure sono importanti in un'epoca di cambiamento. L'impresa per sua natura affronta quotidianamente il rischio, il mutare dei prezzi, gli umori del mercato, deve mettere continuamente a punto la sua tattica, talvolta la sua strategia. Un compito cresciuto con l'accelerazione della rivoluzione elettronica in particolare per quelle imprese che assemblano produzioni fatte in Paesi diversi e vendono i loro prodotti nel mercato globale.
Il continuo mutamento e la rapidità di decisione richiede che chi si trova al vertice sia pronto a cogliere e valutare un numero altissimo di segnali di cambiamento. Nessun imprenditore, anche se vi dedica tutto il suo tempo e si sposta in continuazione, può fronteggiare questa continua sfida da solo. Ha bisogno che i suoi stretti collaboratori siano costantemente in contatto con lui per ricevere e per dare informazioni, e che sappiano reagire con tempestività. Un risultato possibile solo se il vertice dell'impresa è formato da una squadra in cui ogni collaboratore ha una precisa funzione ma in cui tutti sanno cosa fanno gli altri, sono in stretto rapporto fra di loro e lavorano come una équipe di ricerca in cui nessuno vuole mettersi in evidenza, ma solo raggiungere il risultato migliore. Il capo farà delle riunioni in cui informa tutti e gli altri riferiscono sul loro lavoro e dicono il loro parere. Ma non basta, bisogna che i membri dell'équipe abbiano una sincera fiducia, stima dei loro compagni, conoscano a fondo cosa stanno facendo, diano loro tutte le informazioni che servono e possano consigliarli senza che nessuno se ne senta sminuito. Così, quando qualcuno è impegnato, gli altri cercano di supplire la sua assenza. Il gruppo dirigente deve essere una comunità solidale di amici tesa verso una meta.
Ce ne fornisce un bellissimo esempio il film «Thirteen days» che racconta come John Fitzgerald Kennedy insieme a suo fratello Bob, a Robert McNamara, ad Adlai Stevenson e pochi altri hanno gestito la crisi di Cuba che poteva sfociare in una guerra mondiale. Tutti parlavano col presidente, discutevano fra loro, gli davano consigli e poi la decisione la prendeva lui solo. Questa organizzazione elastica era necessaria perché era la prima volta che si presentava la possibilità di una guerra atomica e, per evitarla, tutte le vecchie regole militari e diplomatiche andavano completamente cambiate.
Francesco Alberoni
(fonte Corriere della Sera dell´11 luglio 2011)


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