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martedì 2 agosto 2011

La formula della pace?

Se ci fosse una parola per risolvere un conflitto, quale sarebbe?

In uno dei territori piú martoriati dalla guerra e dai conflitti interni, una donna porta la speranza traducendola cosí: "studiate"!
Su NNC uno dei temi caldi é quello della scuola e non potevamo mancare di riconoscere il coraggio di Sakena. Una storia straordinaria! 
Non siamo in Afghanistan ma la richiesta ai nostri ragazzi e ai nostri insegnanti (dopo l´estate) é quello di impegnarsi per essere portatori, sempre, di una rinnovata cultura.

Grazie di cuore!
Luca

La formula della pace? Più scuole, meno bombe

Come si combatte la guerra in Afghanistan? Sakena Yacoobi non ha dubbi: con un esercito di donne. Armate di penne e quaderni

C’è una donna che si aggira a Kabul tra vicoli e moschee, gridando una parola che più che rivoluzionaria suona come un affronto in un territorio un tempo dominato dai talebani e che oggi è teatro di rappresaglie. La parola è “ studiate”. La donna si chiama Sakena Yacoobi, ha 60 anni e da trenta si occupa di combattere la guerra con la cultura. Sakena è un’insegnante. Ogni giorno, escluso il venerdì, 350mila persone affollano le sue classi e prendono parte a quella che lei ha definito una “Jihad con la penna” ovvero imparano a leggere e a scrivere. Perché l’alfabetizzazione è la prima arma per sconfiggere la guerra e in un cervello occupato da quello che gli raccontano i libri piuttosto che da stragi spacciate per ideali di martirio, il fascino dei mitra e delle bombe attecchirà meno. Imma Vitelli, giornalista che per Wired ha già raccontato storie del Medio Oriente, ha incontrato Sakena e l’ha seguita, mentre percorreva i vicoli di Kabul, interrogava vecchie e bambine, leggeva quello che avevano scritto sotto dettatura, applaudendo per i progressi fatti. Ne è venuto fuori un articolo pubblicato su Wired di luglio nel quale Sakena, nel raccontare la sua storia, racconta anche quella dell’Afghanistan. 

Dai quattro ai sei anni Sakena ha letto ogni tipo di testo religioso. Poi è andata alle elementari. Quando già il suo paese le aveva dato tutto in termini di cultura, si è trasferita negli Usa. Si è laureata in Biologia in California e ha ottenuto una cattedra in Michigan. Poi l’Unione Sovietica ha invaso l’Afghanistan e i suoi famigliari hanno perso tutto. Lei è riuscita a portarli in America e a ottenere l’asilo politico per loro. Poi è partita. “ Ero inutile in America, dovevo capire cosa fare per la mia gente”. È stato in Pakistan, in mezzo ai profughi, alle donne che avevano subito violenze di ogni tipo, che Sakena ha capito che l’istruzione è l’unica via per risollevare la sua gente. Da allora non si è mai fermata e ha aperto scuole e raccolto studenti ovunque ha potuto. Nemmeno l’Afghanistan dei Talebani l’ha intimorita. Proprio all’epoca del loro dominio, negli anni Novanta ha fondato l’ Ali (Afghan Institute of Learning). “ Da Kabul, da Herat, da Logar, mi chiedevano di aprire scuole clandestine”, racconta Sakena Yacoobi suWired. “ Mi imposi allora una regola: se la gente era in grado di proteggerci e di darci i locali e il personale da preparare, l’avremmo fatto”. 

Sakena confida più nel potere delle relazioni tra le donne e i membri della loro famiglia, che su quello dei soldi. L’Ail ha un budget relativamente ridotto di 1,5 milioni di dollari l’anno profusi da privati e fondazioni. L’altra risorsa sono le tante bambine che frequentano le lezioni. “ Se educhi un bambino, educhi un individuo”, spiega. “ Se educhi una bambina, educhi una famiglia”. Perché in Afghanistan, la cultura ha un maggiore potere di penetrazione nelle famiglie, se a portarla è una bambina, una futura donna che, in teoria, dovrebbe occuparsi di fare figli e tenere la casa, e invece spiega al padre e ai fratelli come si legge e si scrive. 

Sakena ne è convinta: è così che tra le mani degli uomini invece delle armi domani ci saranno i libri.
(fonte: Wired Italia del 27 luglio 2011)

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