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lunedì 13 dicembre 2010

Fenomenologia di una vita da spot

Interessante articolo di Aldo Grasso su un fenomeno che, a conti fatti (e parlo di reali conti economici), così fenomeno non è...

Quello che ci si aspetta da uno spot, quello che rappresenta una ragazza e il gusto degli italiani (e/o delle italiane...).

(fonte: Corriere della Sera del 12 dicembre 2010) 
Il nome della pin-up Belen Rodriguez legato ai «marchi» Tim e Corona
E così, un bel mattino, l'Italia si è risvegliata bigotta. Le cose sono andate in questo modo: si è scoperto che quella bellona di Belen Rodriguez non piace più agli italiani, che avrebbero deciso di acquistare meno telefonini della Tim per punire l'azienda. Azienda colpevole di aver scelto una bomba di sensualità come testimonial. L'Italia percorsa da una ventata di moralismo? Mogli che al telefonino si rivolgono ai mariti con un perentorio «o lei o me»? Genitori che per Natale regalano smartphone con tasto perbenistico? La storia non regge, anche perché negli spot della Tim accanto a Belen c'è il rassicurante Christian De Sica, costretto sì a recitare il ruolo della «fiera ciula», del piacione romano, ma pur sempre re dei cine-panettoni, un genere che è stato sdoganato persino dalla Mostra di Venezia. E allora? Allora si ritorna a Belen. 

Alcune analisi di mercato avrebbero rilevato che gli ultimi spot mandati in onda dal colosso della telefonia italiana sono stati inferiori alle aspettative, anche dal punto di vista commerciale. Per la showgirl, dunque, potrebbe non esserci il rinnovo di contratto. Tutta colpa della maliarda Belen, ritenuta troppo impudica e provocante? Sotto accusa gli spot giudicati esageratamente sexy? E adesso come la mettiamo con il Festival di Sanremo che ha chiamato la Rodriguez ed Elisabetta Canalis per lustrare gli occhi ai mariti poco propensi a seguire la litania delle canzonette? Se Sanremo non darà gli esiti sperati, Belen verrà bruciata viva davanti al Casinò della città dei fiori? Tra l'altro, com'è noto, il sindaco di Sanremo, il probo Maurizio Zoccarato, tempo fa aveva riempito i tg delle sue preoccupate dichiarazioni, agitando lo spettro di Morgan: «Non accetto di associare alla mia città qualcuno che non abbia una moralità certa». Si riferiva al coinvolgimento di alcuni personaggi celebri nella vicenda che ha portato alla chiusura dell'Hollywood, una discoteca di Milano.  

Ma chi è Belen Rodriguez? È una bellissima modella di origine argentina (Buenos Aires, 20 settembre 1984) che sbarca diciassettenne a Milano per la sfilata «pin-up star collection». Esordisce in tv a TeleBoario, emittente locale della Valle Camonica (hanno l'occhio lungo i valligiani), per poi passare attraverso la solita, lunga trafila del vallettume televisivo. Diventa famosa per la partecipazione all'«Isola dei famosi» del 2008, soprattutto per una presunta love story con Rossano Rubicondi (marito di Ivana Trump), che le costa la rottura con il fidanzato, il calciatore Marco Borriello. Immortale la battuta con cui Enrico Lucci salutò il ritorno in patria di Rubicondi: «Ahò, ci hai data 'na bottarella?».

L'«Isola» merita qualche riflessione: sulle bottarelle e su altro. Se avesse vinto Belen - la seduttrice, l'adescatrice, la Circe del quadrilatero della moda - le pagine dei giornali e i salotti dei talk show si sarebbero riempiti di discorsi sulla morale della lussuria. Per fortuna, con la vittoria della compagna Vladimir ha trionfato la morale della luxuria. La luxuria è la lussuria in versione Servizio pubblico: un luxus, certo, un eccesso, un'esuberanza che travalica e prevarica ma sempre a fin di bene: perché televisiva, perché comunista. La lussuria appartiene al sesso nella sua fisicità, è lo sfarfallio creativo dell'eros che preme, Belen come «Cleopatràs lussuriosa». Il suo destino di incantatrice era in ogni caso segnato. Bastava attendere.

Adesso, sull'onda del ventilato benservito da parte di Telecom, tutti si affannano a ricordarci che Belen non sa presentare, non ha carisma, non suscita simpatia, non sa far niente (d'artistico) come se questa fosse una prerogativa necessaria alle molte pin-up che calcano gli studi televisivi. Forse che Megan Gale, anche lei testimonial di una marca di telefonini, sapeva fare qualcosa? Forse che George Clooney è stato conquistato dalle doti artistiche della Canalis? Belen è un belvedere, non c'è dubbio. Che sappia presentare rientra invece nell'ambito dell'opinabile. Non aprisse bocca, come fanno le modelle, sarebbe meglio, ma il ruolo non lo prevede.

L'arcano, quindi, si nasconde nella fattura degli spot. Curiosamente, in Italia le aziende telefoniche hanno scelto tutte lo stesso modello, quello degli spot-comedy, dell'advertising-soap. Di che si tratta? Le big spender vanno sul sicuro, puntando sulla comicità, su volti noti, su gag d'impatto. Nascono così campagne seriali, non solo costruite sulla continuità delle storie, ma soprattutto sulla forza dei testimonial. Vanno per la maggiore i comici, ma anche i calciatori ci provano. Vodafone ha ormai ingaggiato a pieno titolo Francesco Totti che fa coppia, dentro e fuori lo schermo, con Ilary Blasi in una lunga serie di quadretti più o meno familiari. Wind ha scelto Giorgio Panariello nelle vesti del nababbo (una parodia di Briatore?) affiancandogli la placida Vanessa Incontrada. La 3 ha affidato a Raoul Bova e a Teresa Mannino la rappresentazione della vita di coppia con riferimento alla commedia sentimentale. Il bello è sempre assediato da belle, e l'impresa di conquistarlo risulta più che ardua.
Con Tim si abbandona il modello «casa Vianello» per calare lo spettatore in piena atmosfera da cine-panettone. E qui cominciano i guai: spesso gli spot sono solo gag «usa e getta», buoni per una risata facile, mettono a nudo uno spirito italiano molto grottesco, al limite della cialtroneria, contano molto sull'ammiccamento delle curve femminili. È questo probabilmente è la ragione dell'esito insoddisfacente della campagna pubblicitaria Il problema vero è che il nome di Belen resta legato indissolubilmente a due «marchi». A quello della telefonia, di cui è testimonial, a quello di Fabrizio Corona, il bad boy delle cronache mondane: sesso, droga e discoteche made in Milan. E poi la prigione, le continue trasgressioni, i pettegolezzi con Lele Mora.

Nella vita, Belen conquista le cronache gossipare perché si comporta esattamente come negli spot (fosse rimasta con Borriello, sarebbe stata perfetta, come quando si fa immagine della Serie A Tim!). Al suo fianco, però, non c'è il tranquillizzante De Sica ma l'inquietante Corona. E la commedia si trasforma in dramma. Se alla Tim, o a chiunque altro, serve un albi, eccone uno.

Aldo Grasso

(fonte: Corriere della Sera del 12 dicembre 2010)

Insomma, secondo Aldo Grasso, Belen sarà pure bella ma n'abball!!!
Se questo è il modello che si vuole offrire della ragazza di oggi, mi tengo stretta quella di ieri...

Grazie di cuore!
Luca

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