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mercoledì 22 settembre 2010

I dirigenti senza consenso che non sanno fare squadra (F. Alberoni)

Francesco Alberoni traduce in modo preciso e sintetico quello che è il mio pensiero sull'organizzazione di una squadra e della sua capacità di relazionarsi con i tanti collaboratori con cui ha il piacere e dovere di dialogare.
Io credo che le migliori organizzazioni sono quelle che ascoltano e creano collaborazione, che sanno apprezzare e valorizzare gli individui di cui dispongono.
Ci credo e mi impegno quotidianamente per realizzare un contesto che sia di crescita e di condivisione.
Come sempre le tre colonne per realizzarlo sono:
APERTURA, CONDIVISIONE, USABILITA'.

Grazie di cuore!
Luca

Quando a qualcuno viene assegnata qualsiasi carica, preside, dirigente, direttore generale, presidente, gli viene conferito un potere. Egli ha la possibilità di programmare, prendere decisioni, dare ordini. Ma c’è una grandissima differenza se il suo titolo e il suo potere sono legittimati solo da coloro che lo hanno nominato o vengono invece accettati, riconosciuti anche dai collaboratori, dai dipendenti, da coloro che vivono nell’ambiente in cui opera. Chi ottiene questo riconoscimento è un leader.

Il leader indica la meta e trasmette a ogni livello dell’organizzazione l’importanza, il valore di ciò che si sta facendo, crea entusiasmo e orgoglio, per cui ciascuno mette a frutto la sua intelligenza e prodiga le sue migliori energie. Il leader non ha paura di scegliere le persone più creative, dotate di autonomia di giudizio perché sa come guidarle. Lo stato maggiore delle grandi imprese di successo è sempre formato da manager di prim’ordine, che il leader tiene costantemente informati e con cui si consulta per le decisioni importanti in un clima di rispetto e di armonia. È una costruzione corale di cui lui è il direttore d’orchestra, ma a cui ciascuno contribuisce con la propria abilità. L’impresa diventa allora una comunità a cui tutti sono orgogliosi di appartenere, perché vivono il suo successo come proprio.

Purtroppo non tutti i manager riescono a diventare dei leader. Perché sono insicuri, non riescono a proporsi delle mete elevate, hanno paura di fallire, frenano la creatività. Quando scelgono i collaboratori, prendono solo quelli che considerano inferiori a loro. E non danno mai tutte le informazioni, le tengono per sé come fossero un segreto prezioso. Non discutono con gli altri, non li consultano, non delegano nulla, danno solo ordini perentori. Quando vedono che qualcuno dei loro dirigenti ha successo e viene apprezzato all’esterno, hanno paura che li possa superare, che li possa mettere in ombra e allora lo ostacolano, cercano di sbarazzarsene.
 Si può imparare a diventare un leader? È difficile, però si può fare imparando a lavorare in équipe, cioè raccogliendo attorno sé i propri collaboratori, dando loro tutte le informazioni, discutendo coralmente i problemi e assegnando in pubblico a ciascuno i suoi compiti. E, la volta successiva, verificando insieme i risultati, in modo che tutti si sentano partecipi e riconoscano in lui una saggia guida.

Francesco Alberoni

(fonte: Corriere della Sera del 20 settembre 2010)

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