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martedì 24 gennaio 2012

Perché si discute sull'articolo 18?

Non sento parlare che di Art. 18 negli ultimi tempi e il Presidente del Consiglio Monti ha preso questo argomento di petto (o di "doppio petto"!).
Il compassato Mario sembra molto determinato su quello che vuole e questo sembra un nodo centrale della sua attività (insieme alle liberalizzazioni).
Su NNC un articolo de LA STAMPA per capirci qualcosa in più.


Il presidente del Consiglio, Mario Monti, a proposito dell’articolo 18, ha detto ieri di essere «contrario ai tabù, da parte di entrambi gli schieramenti. Deve esserci una trattativa aperta, senza contrapposizioni ideologiche». Cos’è l’articolo 18?
Il riferimento è all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970. Prevede che nelle aziende con più di 15 dipendenti chi venga licenziato senza «giusta causa» abbia diritto al reintegro e non solo a un’indennità economica. L’articolo 18, è bene ricordarlo, non disciplina di per sé il licenziamento senza «giusta causa» dal quale i lavoratori a tempo indeterminato sono invece tutelati in base alla legge 604 del 1966 sui licenziamenti individuali. Il deterrente, per le aziende, non è il risarcimento economico ma l’obbligo al reintegro.

Perché Monti parla di tabù?
Attorno all’articolo 18 si sono scatenate in passato aspre battaglie politiche. Quando il governo Berlusconi tentò di abolirlo dieci anni fa, d’accordo con il presidente di Confindustria Antonio D’Amato, la Cgil guidata da Sergio Cofferati portò in piazza due milioni di persone. Il progetto, che era diventata una delle bandiere del secondo esecutivo guidato dal Cavaliere, fu abbandonato. Oggi se n’è tornato a parlare dopo un’intervista del ministro del Lavoro, Elsa Fornero al Corriere della Sera che lo ha definito nuovamente un «totem» da abbattere.



Perché si torna periodicamente a parlare dell’argomento?
Negli ultimi quindici anni, dopo le alcune leggi hanno facilitato il ricorso ai contratti atipici, la flessibilità si è trasformata molto spesso in precarietà, in Italia. È vero che abbiamo assistito a una vera e propria «primavera occupazionale» - il milione di posti di lavoro che Berlusconi promise nel 2001 è nato davvero, ma grazie a leggi precedenti come la Treu del 1997 - ma per aggirare l’impossibilità a licenziare dovuta all’articolo 18, le imprese hanno spesso abusato dei contratti atipici. Oggi esistono oltre 40 tipologie di contratto atipico: un delirio. Il che vuol dire anche che durante la crisi la stragrande maggioranza delle persone mandate casa dalle aziende sono i precari e dunque i giovani, come segnala l’Istat.

L’articolo 18 va abolito?
Ormai ci sono molte proposte in giro che cercano di mediare tra le esigenze delle aziende e l’enorme, insostenibile peso che grava sulle nuove generazioni precarizzate e la sensibilità di chi, come i sindacati, continua a sostenere che l’articolo 18 non si debba toccare. Una di queste è la proposta è quella che viene definita del «contratto unico».

Cos’è il «contratto unico»?
È stato inventato dieci anni fa da due economisti, Tito Boeri e Pietro Garibaldi e ripreso, con alcune modifiche, dal giuslavorista e senatore Pd Pietro Ichino. Nel frattempo ci sono una mezza dozzina di proposte di legge che giacciono in Parlamento e ruotano attorno alla stessa idea. Il contratto unico è un contratto a tempo indeterminato ma con tutele crescenti. O, detto all’inverso, è un contratto che estende l’attuale periodo di prova previsto per tutti i contratti a tempo indeterminato da tre mesi a tre anni.

Cosa prevede il contratto unico a proposito dell’articolo 18? Lo abolisce?
No. Per chi firma un contratto unico l’articolo 18 viene sospeso per i primi tre anni nel caso della proposta Boeri/Garibaldi; nel progetto firmato da Ichino, più radicale, il diritto al reintegro viene riconosciuto solo dopo vent’anni. In questo caso, l’articolo 18 è quasi annullato.

Il Governo introdurrà il contratto unico? Nel caso, quale?
Elsa Fornero ha sempre ammesso che punta a una soluzione del genere per mettere ordine nella giungla dei contratti atipici e per aiutare i giovani a riconquistare una prospettiva per il futuro. Nelle indiscrezioni delle scorse settimane si parla della possibilità che il governo Monti metta a punto una proposta che ricalchi l’ipotesi più «soft», quella targata Boeri/Garibaldi. Dai 48 contratti attuali si scenderebbe a 4 o 5.

Qual è la posizione dei sindacati sul contratto unico?
Sono contrari. Negli anni scorsi resta agli atti un solo coraggioso tentativo dell’ex segretario confederale, Nicoletta Rocchi, di aprire il dibattito nella Cgil sul contratto unico. Un dibattito cui ha risposto positivamente una fetta minoritaria del sindacato ma che è finito su un binario morto. Ed è sufficiente citare Susanna Camusso, la leader del sindacato di Corso d’Italia, che in vista del tavolo con il governo sulla riforma del mercato del lavoro che si apre oggi ha detto che «ci piacerebbe discutere con qualcuno che lo conosca per averlo frequentato ogni tanto» per capire che la strada per il governo è tutta in salita.



TONIA MASTROBUONI
(FONTE: LA STAMPA DEL 23 GEN 2012)




LA STAMPA home


Grazie di cuore!
Luca



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