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giovedì 30 dicembre 2010

QUALE FUTURO PER LA DEMOCRAZIA?

Il tema di oggi, sotto le feste, é molto importante e forse troppo grande per NNC: QUALE FUTURO PER LA DEMOCRAZIA?
In un balletto virtuale tra passato (intervista concessa a Maurizio Blondet, su Avvenire, 26-2-1992), presente (2010 quasi 2011) e futuro (immagino il secondo decennio del terzo millennio), cerchiamo di capire quale idea é percorribile per una migliore democrazia dalle parole di Cornelius Castoriadis
Cerchiamo, se non di sconfiggere, almeno di capire chi é il mostro (Cèrbero?) a guardia dell'ingresso della Realtá e che non ci lascia andare oltre.
Cerchiamo di conoscere questo mostro a tre teste che rappresentano la distruzione del passato, del presente e del futuro...

Grazie di cuore!
Luca

(fonte: Doctor Blue and Sister Robinia del 3 ott. 2007 di Valter Binaghi)“Per sua esplicita ideologia, la nostra società non ha alcun progetto collettivo, e non vuole averne. Si ritiene che siano gli individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo. Ciò che è un’assurdità totale. Ogni neonato dovrà inventarsi la propria lingua?”. Con questa domanda sarcastica, Cornelius Castoriadis, uno dei massimi pensatori contemporanei, è intervenuto (su Le Monde, e prima ancora su Esprit) nel dibattito vivo in questi mesi in Francia. Il dibattito verte sulla crisi della democrazia.

Perché la società si sgretola in un pullulare di egoismi, razzismi, disuguaglianze crescenti e perdite di solidarietà? Perché cresce l’assenteismo elettorale, mentre i partiti sono sempre meno “rappresentanti del popolo” e sempre più burocrazie volte a perpetuare il loro potere? Perché sembra che esista “una sola politica possibile”, quella del liberismo di mercato suggerita dalla tecnocrazia capitalista? In Francia uomini politici e intellettuali si pongono queste domande, con una dignità di pensiero sconosciuta in Italia. Castoriadis – filosofo, politologo e psicanalista, staccatosi dal marxismo nel 73 e da allora analista spietato delle burocrazie totalitarie dell’est – sta ora portando il dibattito ad un livello più alto: la crisi della democrazia è, per lui, una crisi dei presupposti filosofici impliciti dell’occidente. (…)

Lei rimpiange le società che imponevano un progetto pre-costituito, o un senso precostituito alla vita degli individui? Ma queste società sono o ideologico-totalitarie, o religiose-integraliste.

Non deploro affatto la perdita del senso precostituito. Una società democratica, è appunta una società che mette in discussione proprio i significati imposti dall’alto, e per ciò stesso apre alla creazione di significati nuovi. Penso alla democrazia greca. A Socrate che mette in discussione i significati, le istituzioni stabilite dalla tribù: Da lì comincia l’occidente. E la democrazia.

E l’individuo?

In quella democrazia l’individuo partecipava alla creazione di significati nuovi. Sia come “autore” (uomo politico o artista), sia come “recettore” (elettore o “pubblico”)

Come sarebbe a dire, “pubblico”?

Paragonate l’educazione che ricevevano i cittadini ateniesi (e anche le donne e gli schiavi) assistendo alle tregedie di Eschilo e Sofocle, e quella che ricevono oggi i telespettatori guardando Dinasty. Tutt’altro tipo di pubblico. Nella democrazia d’oggi che di fatto è una oligarchia liberale, si cercherebbero invano cittadini responsabili, ” capaci di governare o d’essere governati”, come diceva Aristotele. La centralità dell’educazione in una società democratica è indiscutibile. E invece, oggi, l’educazione manca. La società presenta l’immagine di un vuoto totale di significati. Si suppone che l’individuo sia libero di fare ciò che vuole, di dare alla sua vita il senso che crede. In apparenza.

Perché in apparenza?

Perché il presunto individuo libero non è, nella maggioranza dei casi, che una marionetta che agisce come gli impone spasmodicamente il campo storico-sociale: fare soldi, consumare, godere (se gli riesce)… Libero di dare alla sua vita il senso che vuole, di fatto gli dà il senso che ha corso in una società in cui il solo valore è il denaro, la notorietà televisiva, il potere nel senso più volgare o ridicolo. Ogni individuo libero scimmiotta semplicemente ciò che altri 50 o 100 milioni fanno nello stesso momento.


Dunque la società che sostiene di “non imporre valori precostituiti”, in realtà li impone occultamente.

Certo: l’individualismo oggi, è la faccia individuale del progetto capitalista. Nonostante quel che si dice, c’è un progetto sociale: assurdo e indegno allo stesso tempo, se l’obiettivo centrale della vita umana non è quello di cambiare l’auto ogni tre anni.

Come siamo arrivati a questa degenerazione della democrazia e della libertà individuale?

Io pongo la data del cambiamento intorno al 1950. In quel tempo la società’ cessa di mettersi in questione. Ora, una società democratica - ricordiamo Socrate e le sue continue domande - è appunto un “mettersi in questione”: sa e deve sapere che non c’è risultato assicurato, e a partire da questo sapere la società crea significati. Ma s’apre questo, è sapersi mortali. L’esperienza della libertà è l’esperienza della mortalità di tutti i significati. Ora se c’è una cosa evidente della società contemporanea occidentale, è la sua paura della morte, il suo sforzo di nasconderla. Non senza relazione con questo rifiuto di “mettersi in discussione” è avvenuta la privatizzazione della vita…

Privatizzazione della vita?

Dal 1950 circa, l’equilibrio e la conservazione della società capitalistica moderna è stato ottenuto rinviando ciascuno nella sua sfera privata”. Così, a spese della partecipazione democratica, il capitalismo ha trionfato. Il fatto è che, paradossalmente, ha funzionato finora solo perché ha ereditato una serie di tipi umani che non ha creato lui, e che non sa creare: il giudice incorruttibile, il funzionario integro, l’educatore che si consacra alla sua vocazione, l’operaio con una coscienza professionale. Questi tipi non sono nati da sé. Sono stati creati in periodi storici precedenti, in riferimento a valori allora consacrati e incontestabili. Uomini formati dalle società dove gli individui partecipavano a creare valori. Oggi, questi valori suscitano, notoriamente, il riso. Oggi conta solo la quantità di danaro che avete intascato, quante volte siete apparsi in tv.

Dunque il capitalismo assoluto sta segando il ramo su cui poggia, “logorando” i valori che lo fanno funzionare. Ma intanto, la società è ridotta a…. alla sterilità

Prego?

La società veramente democratica, come ho detto, è fondata sul sapersi mortale, sull’esperienza della mortalità. Per questo crea valori. Crea “monumenti imperituri”, vuol mostrare agli uomini del futuro la possibilità di dar significato alla vita anche sull’orlo dell’abisso.


Opere d’arte, grandi romanzi, filosofia, grandi architetture…

Opere che possono pretendere una validità universale. Le opere di una collettività sono lo specchio in cui essa può guardarsi, riconoscersi e mettersi in questione. La nazione stessa non può definirsi che come collettività che ha creato opere universali. Essere francese, se non si vuol cadere nel razzismo, significa appartenere a una cultura che va dalle cattedrali gotiche alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, da Montaigne agli Impressionisti.

E se, come oggi, si parla di fine della filosofia, di fine della grande narrativa, cosa significa?

Chi costata che nel quadro dell’ “individualismo democratico” non c’è più spazio per le grandi opere, pronuncia – senza saperlo né volerlo – una prognosi di morte per questa società.


Valter Binaghi

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