Esperimento in 40 città: avanzi ai volontari del quartiere. Petrini: si fermi lo spreco
MILANO — Pioggia, nebbia o neve che sia, don Domenico Bendin ha un appuntamento fisso per ogni giorno feriale che il Signore manda in terra. Alle 19.29 in punto si presenta allo storico panificio-pasticceria Orsatti di Ferrara, a due passi dal Duomo. «Come va Don, tutto bene?», sorride la titolare mentre gli consegna tre vassoi con gli avanzi di giornata di paste e pasticcini. I cabaret in meno di mezz’ora atterrano sul tavolo della mensa dell’associazione viale K, fondata per aiutare chi ha bisogno.
Don Bendin e il panificio Orsatti non sono soli. C’è tutta un’Italia che s’inventa l’impossibile per evitare gli sprechi. Convinta che l’uomo non sia solo ciò che mangia ma anche ciò che evita di buttare nella spazzatura. Gente che si mobilita soprattutto di fronte a notizie come quella segnalata ieri dal Corriere: 180 quintali di pane buttati ogni giorno solo a Milano.
«Fermare lo spreco: ecco la questione chiave con cui ci confronteremo in futuro», mette in allerta il presidente di Slow Food, Carlo Petrini. Il problema è già chiaro a circa 65 mila famiglie che in Italia fanno parte dei Gas e dei Gap, gruppi d’acquisto solidale e popolare determinati a comperare solo ciò che si consuma davvero. La Caritas ambrosiana da una parte fa notare la sensibilità di alcune catene, come Coop Lombardia, che consegnano l’invenduto al mondo del non profit. Dall’altra lancia una proposta: «Sono certo che imilanesi pagherebbero qualche centesimo in più gli acquisti al super o in negozio pur di finanziare un sistema di riutilizzo delle eccedenze», riflette il direttore, don Roberto Davanzo.
A dire il vero «il sistema» qualcuno è convinto di averlo già trovato. «Il pane buttato a Milano potrebbero sfamare chi ne ha bisogno. Basta organizzarsi», assicura Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria dell’università di Bologna. Le brioches di don Bendin sono salvate dal cestino proprio grazie a un modello messo a punto dal professor Segrè e dai suoi studenti. I primi studi sono iniziati una decina di anni fa. Nel 2003 è nata una società partecipata dall’ateneo di Bologna e da nove ex studenti (www. lastminutemarket.org) che aiuta a salvare dalla spazzatura le eccedenze della grande e piccola distribuzione. Oggi il modello ha una quarantina di applicazioni in giro per l’Italia. Da Cagliari a Verona, passando per Modena, Bologna, Cagliari e, appunto, Ferrara.
Nel suo ruolo di presidente della Lastminutemarket, Segrè è stato invitato, il 18 dicembre scorso, al forum sul clima di Copenhagen. E lì ha illustrato la situazione del nostro Paese. Recuperando le eccedenze di grande e piccola distribuzione, in Italia si potrebbero salvare all’anno 244.252 tonnellate di cibo per un valore di 928.157.600 euro. Sarebbe inoltre possibile fornire tre pasti al giorno a 636.600 persone (gli abitanti della provincia di Modena, ndr) e risparmiare 291.393 tonnellate di CO2 prodotte a causa dello smaltimento del cibo di risulta come rifiuto».
Il sistema elaborato dall’ateneo di Bologna si basa sul riutilizzo delle eccedenze a chilometro zero, nelle immediate vicinanze. Tra i punti vendita aderenti, l’iper Conad-Leclerc di via Larga a Bologna. «Non solo abbiamo la soddisfazione di non buttare nulla, migliora anche il risultato economico», assicura il responsabile del punto vendita, Stefano Cavagna.
La normativa fiscale potrebbe determinare in futuro il successo del progetto. «Il ministero dell’Ambiente leghi la tassa sui rifiuti non ai metri quadrati del punto vendita, ma alle quantità smaltite», dice Paolo Masciocchi, direttore del settore Ambiente di Confcommercio. Certo è che dove i Comuni agevolano i negozi virtuosi il sistema funziona. Tanto che la pasticceria Orsatti di Ferrara, a furia di donare vassoi, ha risparmiato duemila euro di tasse. Che ora finanzieranno un progetto in Tanzania.
Rita Querzé
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